Smart working: no, non si tratta solo di telelavoro
Smart working è qualcosa di diverso dal puro aspetto tecnologico e non è telelavoro. Facciamo chiarezza sulle differenze tra questi due metodi lavorativi
Questi giorni un po’ convulsi hanno messo i riflettori sul tema dello smart working. Del resto, anche il legislatore nel DDL per la gestione dell’emergenza sanitaria ha inserito uno snellimento per le aziende che vogliono (o devono) ricorrere allo smart working.
A fine articolo potete scaricare la scheda esplicativa dedicata al Bando della Regione Lombardia per lo Smart Working ad esaurimento.
Per trasformare una criticità in un’opportunità nel medio periodo è corretto capire di cosa si sta parlando esattamente, per trarne tutti i vantaggi e riprogettare un nuovo modo di lavorare.
Lo storytelling di chi lavora in ciabatte da casa o da una spiaggia non aiuta: il tema ha aspetti normativi, organizzativi e non solo tecnologici.
Pur rimandando alle norme specifiche in sintesi le differenze tra telelavoro e SmartWorking sono:
Secondo la norma, per telelavoro si intende una modalità di lavoro che si svolge a distanza rispetto alla sede dell’azienda. Il lavoro viene svolto in un luogo specifico, adeguatamente isolato dall’attività quotidiana, con orari di lavoro fissati (insieme all’obbligo di non svolgere attività notturna, riposo obbligatorio ecc) e l’obbligo da parte del datore di lavoro di eseguire ispezioni per assicurarsi la regolarità nello svolgimento del lavoro.
Lo smart working – regolato dal DL n. 81 del 22 maggio 2017 – presuppone invece flessibilità e adattamento dei lavoratori all’organizzazione del lavoro messa in atto dell’azienda. Non prevede ad esempio una postazione fissa: ognuno può svolgere i propri compiti in qualsiasi luogo. Paradossalmente anche all’interno dell’azienda, in ambienti appositamente pensati.
Smart Working: l’aspetto normativo
L’aspetto normativo prevede che lo smart working debba essere regolato da un contratto che regoli:
- organizzazione flessibile del lavoro (fasi, cicli, obiettivi, orari, spazi, interno/esterno dell’azienda);
- accordo scritto tra le parti per definire i poteri di controllo, la strumentazione tecnologica, i tempi di riposo (diritto alla disconnessione) e le modalità di recesso;
- necessità di assicurare al lavoratore percorsi di apprendimento permanente, anche attraverso la certificazione di competenze acquisite in ambiti formali e informali;
- necessità di garantire le condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro e l’assicurazione obbligatoria
Anche dal punto di vista organizzativo è importante disegnarne professionalmente l’approccio, perché diventi reale opportunità in termini di flussi di lavoro, di gestione e motivazione del personale: alcune ricerche del Politecnico di Milano (Osservatorio smart working) dimostrano infatti come l’adozione del “lavoro agile” aumenti la produttività del 5-6%.
Insomma, Smart working è qualcosa di diverso dal puro aspetto tecnologico e non è telelavoro.
In questo giorni le aziende, soprattutto le PMI, hanno l’opportunità di ripensare nuovi modelli di lavoro, più moderni, efficaci e produttivi, con un occhio ai margini e al miglioramento dell’intera società.
Una seria ed efficace riflessione per trasformare l’azienda, di qualsiasi dimensione e attività, in un luogo dove si collabora, che gestisca in modo flessibile le modalità di lavoro in termini di luogo e di orario, che sia più efficace a seconda delle esigenze dei dipendenti, aumentandone la motivazione e produttività grazie ad una miglior conciliazione del tempo famiglia-lavoro.
Incentivi a fondo perduto per le aziende
Per incentivare questo cambio organizzativo molte Regioni mettono a disposizione incentivi a fondo perduto per accedere a servizi professionali, prima fra tutti la Regione Lombardia che già a dicembre aveva annunciato, rendendola operativa nella scorsa settimana, uno strumento a voucher per le PMI: compilando il form in basso potete scaricare la scheda di sintesi delle caratteristiche dell’opportunità.